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Fiat: basta foraggiare Elkan e la sua famiglia!

In questi giorni si fa un gran parlare della Fiat ( mi piace chiamarla ancora così), specie dopo l'abbandono del suo mercenario Amministratore Delegato, liquidato con ben 100 milioni di Euro, dopo 3 anni di fedele collaborazione con gli Elkan.

Una somma che mai nessun Manager, ad eccezione di Henrique De Castro, Direttore Generale dell'Americana Yahoo, aveva mai ricevuto da una Società quotata in borsa, che, per soli 17 mesi di lavoro, ricevette 109 Milioni .

Basti pensare che I precedenti Italiani, che più si avvicinano a tale enorme somma, ricevuta da Tavares, in passato, e che tanto scandalo creò, è stato Carlo Profumo, che ricevette allora, da Unicredit, 40 milioni per 12 anni di attività, e poi Luca Cordero di Montezemolo con 27 Milioni per 13 anni di Ferrari, e Roberto Colaninno, con 17 milioni da Olivetti per 15 anni, e Giovanni Bazzoli, sempre con 15 Milioni, per 25 anni con Banca Intesa ( una miseria).

Qualcuno si è divertito a fare un rapido calcolo approssimativo, ipotizzando che tale cifra, non possa essere raggiunta, neppure col lavoro di tutta una vita, di una cinquantina di operai .

Aprire ora e qui, il tema, dell'abissale differenza, tra un appannaggio annuale di un manager, di una Società quotata in borsa, e quella di uno stipendio medio, di un operaio o impiegato, sarebbe fuorviante forse.

Quel che mi preme di più, in questo momento, è invece, valutare se l'Italia, in tema di politica industriale debba rivedere qualcosa.

A ben vedere direi di si, specie se pensiamo al caso emblematico, del rapporto che vi è stato in tutti questi anni, dalla sua nascita, a Torino, nel 1899, fino ad oggi, fra la Fiat e il nostro Paese.

Ebbene, dopo i gloriosi anni della Azienda industriale manifatturiera più importante del Paese, per cui, diciamolo, noi Italiani, siamo stati persino orgogliosi, e del rapporto, quasi simbiotico fra la famiglia Agnelli e le nostre Istituzioni, che fece persino dire all'Avvocato Gianni Agnelli : "tutto quel che va bene alla Fiat va bene per l'Italia", oggi, dopo la sua triste dipartita, e, l'arrivo degli Elkann, tutto è cambiato, in peggio naturalmente.

E in effetti, con l'arrivo , nel 2003, dell'erede dell'amato avvocato Gianni Agnelli, John Elkann, la Fiat, come l'avevamo conosciuta, non c'è più, assumendo un altro volto, un'altra dimensione, molto diversa dalla prima Fiat, a cominciare dal suo divenire, FCA, con l'accordo di fusione con Chrysler del 12 Ottobre 2104.

Una svolta epocale, che ha portato l'Azienda, a stabilire la sua sede legale, ad Amsterdam, in Olanda, ed il domicilio fiscale nel Regno Unito, fino a trasferire la Governance di Fiat, di fatto, al gruppo Francese PSG- Citroen.

Da allora tutto cambia, e, a mio parere, si sarebbe dovuto modificare anche il rapporto fra Italia e Fiat, cosa che non è avvenuto.

E' vero che gli stabilimenti automobilistici restavano in Italia, ma i primi segnali, cioè la chiusura di quello di Termini Imerese, avrebbero dovuto suonare come un triste presentimento, sul futuro del rapporto Fiat- Italia.

Il punto è che a partire, almeno dal 2014, ( da quando diventa FCA) a mio parere, il nostro Paese, non avrebbe dovuto più sostenere, per lo meno con fondi pubblici, una Azienda, ormai, a tutti gli effetti, straniera, e con poche prospettive di crescita.

E se pure è vero, che occorreva tutelare e salvaguardare le migliaia di lavoratori dipendenti italiani ( oggi solo 29 mila, rispetto ai 120 mila del 2000), non doveva usarsi il tradizionale, e fallimentare metodo assistenzialista, con oneri a carico della Stato, cioè di tutti noi cittadini.

Altre strade andavano percorse, ( qualcuno ci provò davvero), magari con la ricerca di gruppi di investitori Italiani, che avrebbero potuto entrare nel capitale azionario Fiat, o, meglio, FCA.

Invece, in maniera miope, si è proceduto a finanziare la Cassa Integrazione per migliaia di lavoratori, che attraverso il nostro Istituto previdenziale( INPS) ha assicurato, fino ad oggi, posti di lavoro, che non sono veri e propri posti di lavoro.

Ben 900 milioni di euro di spesa per la Cassa Integrazione.

Tutto ciò poteva anche andar bene, forse, almeno fino all'era di Sergio Marchionne, quando il compianto manager Italiano, aveva comunque un vero Piano Industriale, ma, già dal 2018, cioè 6 anni fa, avremmo dovuto cessare ogni tipo di aiuto di Stato, ad una Azienda non Italiana, per di più, senza avere un solido piano industriale, che prevedesse un investimento in Italia, e, soprattutto, il mantenimento del ramo di azienda, che curava la ricerca e innovazione nel nostro Paese.

Senza contare che in passato, fino al 2019, l'Italia aveva dato un contributo a Fiat per 4 Miliardi, e che negli anni pandemici, dal 2020 al 2023 , attraverso la Sace, con fondi privati, Fiat aveva ottenuto un Prestito di Garanzia di 6,8 Miliardi, garantito appunto dallo Stato, ( poi restituito) , ma che è bene evidenziare, di questi, ben 2,7 Miliardi, furono utilizzati per elargirli, quale dividendo, ai soci azionari.

Una vera e propria beffa, se si pensa, che questi soldi, ben potevano invece essere utilizzati, per investimenti e sviluppo in Italia, e negli stabilimenti Fiat, al fine di aumentare la produzione di auto e il numero di occupati.

Ebbene, i Governi succedutisi, col beneplacito del Pd, che ne ha fatto parte, ed oggi vergognosamente silente, non hanno fatto nulla, per invertire la rotta, e dare il benservito, alla famiglia Elkann, e al loro manager Tavares, non avendo questi assicurato, alcuna forma di rilancio dell'Azienda.

Anzi da una potenzialità di un milione di auto, che Fiat potrebbe produrre oggi nei propri stabilimenti, in realtà, se ne produrranno, nel 2024, solo 400 mila, rispetto alle 500 mila del 2023.

E dunque, oggi, non serve sbraitare, come fanno molti autorevoli esponenti, anche di Governo, contro questa amara realtà, stracciandosi le vesti e gridando allo scandalo della milionaria liquidazione di Tavares, occorre invece imparare dagli errori del passato, e cambiare strategia nella Politica Industriale Italiana.

Nel post- Capitalismo di oggi, fuori da ogni metafora, in una società globalizzata, in cui a prevalere è la "finanza", piuttosto che il "fattore lavoro", occorre prendere delle contro- misure, avendo il coraggio, ove è necessario, di interrompere gli aiuti di Stato, richiamando gli imprenditori alla propria responsabilità sociale.

Occorre anche avere il coraggio, di lasciare, alle regole di mercato la direzione e il destino delle realtà economiche - industriali, riservando i propri interventi Statali, solo verso attività produttive, che creano lavoro di qualità e sviluppo per il nostro Paese.

Questo valeva per Alitalia e tutti i soldi dei contribuenti, buttati via, per molto tempo, per assicurare la continuità a quello che era diventato un vero e proprio buco nero per le casse Statali, e vale, oggi, ancor di più, per casi come quelli di Fiat o Stellantis che dir si voglia.

Questo non deve necessariamente concretizzarsi nell' abbandonare i lavoratori Italiani, di queste multinazionali in crisi, ai quali, va comunque assicurato, un leale sostegno solidaristico dello Stato, magari attraverso una riqualificazione e formazione adeguata, per nuove occasioni occupazionali, come sta già avvenendo, nei settori del terziario, della logistica, del turismo e dei servizi.

Quel che è certo, è, che non possiamo più immaginare di essere al tempo delle cosiddette "Partecipazioni Statali", in cui lo Stato, attraverso l'IRI, teneva in piedi, ad ogni costo, anche aziende decotte e senza più alcuna speranza di ricrescita.

Ora, occorre abbandonare definitivamente quel sistema, dai frutti avvelenati, e puntare semmai, ove è proprio necessario, ad Holding Pubbliche, con una Governance di fiducia dell'azionista Statale, che, in ogni caso, venga monitorato, vigilato, e, valutato, sulla base dei risultati ottenuti, in termini non esclusivamente finanziari, ma aziendali, secondo gli utili reali apportati, e la crescita occupazionale conseguita.

Infine occorre procedere, per l'occasione, a realizzare quanto già previsto nella nostra Costituzione, all'Art. 46, per giungere alla maggiore partecipazione dei lavoratori, sia in ordine alla organizzazione aziendale, che alla compartecipazione alla distribuzione degli utili aziendali, almeno nella misura dell'1%, abbandonando definitivamente, quel vecchio schema Marxista, rappresentato anche in questi giorni, nei vari talk-show televisivi, da esponenti della Sinistra Massimalista, che vede i Padroni da un lato e gli Operai dall'atro.

Se si vuol davvero ridare dignità al fattore lavoro, nella situazione attuale, ove prevale nettamente l'aspetto "finanziario", occorre attrezzarsi adeguatamente, e utilizzare, nuovi strumenti di conquista, per il benessere sociale e la crescita del Paese, con nuovi modelli industriali di sviluppo, assegnando, anche, un ruolo da protagonista ai lavoratori.

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