Basta con il romanticismo della violenza e la colpevolizzazione della vittima.
Dal mese di gennaio 2017, su impulso della Direzione centrale anticrimine, è stato adottato in tutta Italia il protocollo EVA, nome che ricorda la prima donna secondo la Bibbia e che, in realtà, è l’acronimo di Esame Violenze Agite. Si tratta di una modalità operativa di primo intervento per la violenza di genere (maltrattamenti in famiglia, stalking, abusi, liti familiari, ecc.) che, in un anno, ha permesso di gestire ed analizzare oltre 5.000 segnalazioni.
Inoltre è stato firmato nel 2022 il Protocollo d’intesa tra la Questura di Messina, nella persona del Questore Gabriella Ioppolo, e l’organizzazione di volontariato “CO.TU.LEVI. – Contro tutte le violenze” nella persona del suo Presidente Palma Camelia Aurora Ranno. Promosso dal Ministero dell’Interno - Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, il Protocollo Zeus costituisce un modello d’azione innovativo che amplia l’efficacia dell’ammonimento del Questore, strumento previsto dalla legge e già utilizzato a tutela delle vittime di violenza.
Il Protocollo, stipulato per la prima volta dalla Questura di Messina, consente al Questore che emette un ammonimento, sia in caso di atti persecutori sia in caso di violenza domestica, di invitare la persona ammonita a sottoporsi ad un programma di supporto psicologico e di prevenzione appositamente organizzato dai servizi presenti sul territorio.
Tale fondamentale efficacia preventiva viene realizzata con un’azione che mira non soltanto alla tutela del maltrattato, ma anche al recupero del maltrattante, attraverso appositi percorsi di accompagnamento dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive, al fine di favorirne la riabilitazione e limitando i casi di recidiva.
Affidato alla Divisione Anticrimine della Questura il delicato compito di monitorare lo svolgimento e gli esiti del percorso di recupero al fine di verificare l’efficacia del Protocollo.
Finora un’analisi delle questure che già hanno avviato questo genere di protocollo ha evidenziato validi risultati, che dimostrano come gli interventi preventivi rivolti all’autore delle violenze sono complementari alle misure adottate a sostegno delle vittime.
L’auspicio è che gli autori delle violenze sappiano cogliere l’opportunità offerta dal Protocollo, affidandosi a professionisti che li guidino verso la consapevolezza del disvalore della propria condotta e la corretta gestione dei propri impulsi.
I protocolli esistono e sono operativi, ma il fenomeno stenta ad arrestarsi.
Convegni, panchine rosse, scarpe altrettanto scarlatte sono i simboli della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, oggi 25 novembre. Parole e buoni sentimenti che però non evitano i 98 femminicidi avvenuti in Italia nel 2024, né prevengono le 21.842 richieste d’aiuto arrivate alle sedi territoriali dell’associazione D.i.Re. (Donne In Rete contro la violenza). Il 14 per cento in più rispetto allo scorso anno. Tra i centri della rete c’è anche il Thamaia, a Catania, che ha rilevato un aumento delle richieste di circa il 30 per cento: con 280 nuove donne seguite dal centro anti violenza nel 2024, contro le 220 che avevano contattato il Thamaia per la prima volta lo scorso anno. «Un aumento dovuto di certo al potenziamento delle ore di apertura del nostro centro – afferma la presidente di Thamaia Anna Agosta – ma anche a una maggiore consapevolezza delle donne. Questi dati ci dicono che, quando le donne trovano uno spazio di ascolto sicuro e non giudicante, chiedono aiuto ed escono dal silenzio».
«La violenza maschile contro le donne è ancora oggi un problema sociale di proporzioni mondiali, che costituisce un ostacolo al pieno progresso femminile – continua la presidente Agosta – Negarne l’esistenza o ridimensionare il fenomeno significa colludere con un sistema patriarcale che relega e vuole mantenere le donne subalterne agli uomini». Giustificando la violenza. O depistando, come nel caso delle recenti dichiarazioni della politica nazionale: «Secondo la presidente del Consiglio dei Ministri e il ministro dell’Istruzione e del Merito l’aumento della violenza maschile è legata alla presenza di uomini migranti – continua Agosta – Questo è inaccettabile e pericoloso, perché i dati confermano invece il contrario: la violenza maschile contro le donne è trasversale all’età, alla classe sociale, al livello di educazione e all’area geografica d’appartenenza, sia delle donne che la subiscono che degli uomini che la commettono». È lo stesso Viminale, peraltro, ad aver registrato come il 93,9 per cento dei femminicidi in Italia venga commesso da uomini italiani.
Una narrazione spesso distorta, che ha bisogno di un cambio di prospettiva, secondo chi lavora ogni giorno con le vittime: «Serve spostare l’attenzione da chi la violenza la subisce a chi la agisce», è l’appello dei centri antiviolenza siciliani. Oltre al Thamaia a Catania, il centro Le Onde di Palermo e il centro Cedav di Messina. «Senza questo reale cambio di passo culturale non sarà possibile arginare il fenomeno della violenza maschile sulle donne – conclude la presidente Agosta – i nostri Centri antiviolenza sono sì luoghi di accoglienza, ma anche spazi d’impegno quotidiano e di lotta politica per mettere in discussione i ruoli di genere tradizionali».
Le parole possono fare male: quelle sbagliate sono già violenza, o la possono precorrere. Quelle giuste la possono “lenire” o, meglio ancora, prevenire. È stato il tema al centro dell’evento formativo promosso dal Cirs Casa-famiglia ETS e patrocinato dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, dal titolo “Violenza di genere e linguaggio: quando le parole giuste fanno prevenzione” “Non esistono mai due vittime in un caso di violenza sulle donne - ha ammonito Paola Ferazzoli nel suo intervento al convegno, giornalista del programma RAI "Porta a Porta” - La vittima è una e una soltanto». «Un uomo che uccide una donna è solo un assassino - ha rimarcato - non è un fidanzatino, non è un bocconiano, non è un essere umano troppo geloso, stressato, depresso, o addirittura in preda ai famigerati raptus» ha aggiunto sottolineando poi come non si parli mai abbastanza dei figli delle donne vittime di violenza, la cui vita viene distrutta da gesti efferati che comportano spesso la perdita di entrambi i genitori nel modo più terribile: una uccisa e l'altro, assassino, in carcere.
di Tania Barbato
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